Nel fotografare non ho mai pensato a me stesso come soggetto di un'azione e a un paesaggio come oggetto da ritrarre. Preferisco definirlo come un incontro, un'interazione tra il mio sentire e il costante divenire della terra che ci circonda. Si può riprendere più volte lo stesso luogo, dalla stessa angolazione, ottenendo ogni volta risultati diversi. Nella fotografia di un paesaggio sono diversi gli attori in campo: le ottiche da scegliere, la luce - deus ex machina (fotografica) di ogni immagine - e la terra stessa che, quando desidera lasciarsi immortalare, è più generosa mentre a volte si ritrae, semplicemente perché non ha voglia di parlare. Ho visto spesso la terra e la luce complici nell'offrirmi delle opportunità o nel negarmele. Un bravo fotografo deve aver rispetto delle condizioni del tempo, saperle prevedere e interpretare e non tentare vanamente di forzarle, esattamente come un vero marinaio sa che è il mare che comanda sempre e che la sua perizia nell'affrontarlo non sarà mai un'arma invincibile. Il reportage geografico è un lavoro solitario fatto di pause e di attese, di lunghe camminate o corse in macchina alla ricerca del punto di vista migliore e del momento giusto. Alla ricerca di quell'attimo perfetto che per fortuna perfetto non è mai perché ci lascia così ogni giorno l'opportunità di raggiungere lo scatto più bello della nostra vita. Guai a pensare di averlo fatto, finirebbe la ricerca e con essa l'immaginazione. Ho fotografato milioni di persone e paesaggi nella mia vita e non credo vi sia così tanta differenza. Il fotografo non è mai autore, ma co-autore assieme all'anima dei luoghi e delle persone, interprete di quello che essi vogliono raccontare. È questo senso di gioco di squadra, quello che mi permette di scorgere ogni giorno qualcosa di nuovo nel mondo.